Mio padre anticipò i tempi e ora è dimenticato.
Principessa Elettra, per suo padre, Guglielmo Marconi, la radio era solo l’inizio, lo scopriamo nel suo «testamento scientifico» in cui preconizza gli strumenti straordinari, che oggi abbiamo.
«Non mi hanno mai sorpreso quelle sue parole, quel suo straordinario messaggio del 1937, poco prima di morire, è la quintessenza della sua ineguagliabile capacità di anticipare i tempi, la dimostrazione della sua grande forza di volontà per arrivare a traguardi scientifici di sempre maggiore utilità per l’uomo. Come il cellulare, sì un vero e proprio telefono cellulare, anche se di dimensioni ovviamente maggiori di quelli di oggi, che elaborò nel 1931. E il radar, testato con successo in navigazione, sotto i miei occhi sbalorditi di bimbetta, conquistata dalle sue magie, sul panfilo-laboratorio cui diede il mio nome».
Suo padre si troverebbe a suo agio tra internet e parabole satellitari...
«Certamente, perché tutto ciò era già nella sua mente, nei suoi progetti fin da quel 12 dicembre del 1901 in cui, vincendo lo scetticismo e l’opposizione di tutti gli scienziati dell’epoca, diede ordine di lanciare quel segnale che attraversò l'Atlantico dalla Cornovaglia a Terranova. Ho provato una gioia immensa, diceva mio padre, perché quel segnale ricevuto, mi ha dato la certezza che, da quel momento, il mondo sarebbe diventato più piccolo. E gli uomini si sarebbero, finalmente, sentiti più vicini».
In compenso molti stentano ancor oggi a riconoscere i meriti di suo padre.
«Sono profondamente amareggiata perché a maltrattarlo è stata prima di tutto la sua Italia, il Paese che non ha mai rinnegato, nonostante Inghilterra e Stati Uniti gli avessero offerto la cittadinanza. Per proseguire i suoi studi e i suoi esperimenti ha dovuto lasciare l’Italia. Per finanziare le sue iniziative e le sue invenzioni e conservare autonomia e controllo delle sue idee, ha dovuto, egli stesso, diventare imprenditore e dare il suo nome a un’azienda. E l’Italia come l’ha ripagato? Facendo in cinque pezzi, nel 1978, il suo panfilo-laboratorio, senza nemmeno avvisare la mia famiglia. Avrebbe potuto diventare un museo galleggiante, l’Elettra, mentre ora è un cumulo di rottami».
Nel segno di questo «disinteresse», i cent’anni del Nobel sono celebrati solo dai radioamatori del Ponente ligure...
«Perché i radioamatori, nella loro lealtà, sono sempre stati al fianco di mio padre e delle sue invenzioni. Allora come oggi. Basti pensare ai marconisti che hanno usato il tasto telegrafico per salvare vite umane, e ai volontari di oggi che in Abruzzo, con la radio, si sono messi ancora una volta al servizio della gente. Come avrebbe voluto mio padre. Con i radioamatori ci sto volentieri perché mi ci riconosco. E nella loro voglia di sperimentare ritrovo lo spirito di mio padre. Gli altri, i politici, vogliono solo la mia presenza, nella speranza di ottenere lustro. Ma io sono come mio padre. Cocciuta e schietta. Mio padre è andato avanti. Sempre e comunque».
Principessa, quando accende una radio che cosa prova?
«Sento l’immediatezza di un messaggio che va diritto al cuore. Sento mio padre vicinissimo. In quell’etere che lui ha scandagliato con amore e per amore dell'umanità. E lo ringrazio».
Principessa Elettra, per suo padre, Guglielmo Marconi, la radio era solo l’inizio, lo scopriamo nel suo «testamento scientifico» in cui preconizza gli strumenti straordinari, che oggi abbiamo.
«Non mi hanno mai sorpreso quelle sue parole, quel suo straordinario messaggio del 1937, poco prima di morire, è la quintessenza della sua ineguagliabile capacità di anticipare i tempi, la dimostrazione della sua grande forza di volontà per arrivare a traguardi scientifici di sempre maggiore utilità per l’uomo. Come il cellulare, sì un vero e proprio telefono cellulare, anche se di dimensioni ovviamente maggiori di quelli di oggi, che elaborò nel 1931. E il radar, testato con successo in navigazione, sotto i miei occhi sbalorditi di bimbetta, conquistata dalle sue magie, sul panfilo-laboratorio cui diede il mio nome».
Suo padre si troverebbe a suo agio tra internet e parabole satellitari...
«Certamente, perché tutto ciò era già nella sua mente, nei suoi progetti fin da quel 12 dicembre del 1901 in cui, vincendo lo scetticismo e l’opposizione di tutti gli scienziati dell’epoca, diede ordine di lanciare quel segnale che attraversò l'Atlantico dalla Cornovaglia a Terranova. Ho provato una gioia immensa, diceva mio padre, perché quel segnale ricevuto, mi ha dato la certezza che, da quel momento, il mondo sarebbe diventato più piccolo. E gli uomini si sarebbero, finalmente, sentiti più vicini».
In compenso molti stentano ancor oggi a riconoscere i meriti di suo padre.
«Sono profondamente amareggiata perché a maltrattarlo è stata prima di tutto la sua Italia, il Paese che non ha mai rinnegato, nonostante Inghilterra e Stati Uniti gli avessero offerto la cittadinanza. Per proseguire i suoi studi e i suoi esperimenti ha dovuto lasciare l’Italia. Per finanziare le sue iniziative e le sue invenzioni e conservare autonomia e controllo delle sue idee, ha dovuto, egli stesso, diventare imprenditore e dare il suo nome a un’azienda. E l’Italia come l’ha ripagato? Facendo in cinque pezzi, nel 1978, il suo panfilo-laboratorio, senza nemmeno avvisare la mia famiglia. Avrebbe potuto diventare un museo galleggiante, l’Elettra, mentre ora è un cumulo di rottami».
Nel segno di questo «disinteresse», i cent’anni del Nobel sono celebrati solo dai radioamatori del Ponente ligure...
«Perché i radioamatori, nella loro lealtà, sono sempre stati al fianco di mio padre e delle sue invenzioni. Allora come oggi. Basti pensare ai marconisti che hanno usato il tasto telegrafico per salvare vite umane, e ai volontari di oggi che in Abruzzo, con la radio, si sono messi ancora una volta al servizio della gente. Come avrebbe voluto mio padre. Con i radioamatori ci sto volentieri perché mi ci riconosco. E nella loro voglia di sperimentare ritrovo lo spirito di mio padre. Gli altri, i politici, vogliono solo la mia presenza, nella speranza di ottenere lustro. Ma io sono come mio padre. Cocciuta e schietta. Mio padre è andato avanti. Sempre e comunque».
Principessa, quando accende una radio che cosa prova?
«Sento l’immediatezza di un messaggio che va diritto al cuore. Sento mio padre vicinissimo. In quell’etere che lui ha scandagliato con amore e per amore dell'umanità. E lo ringrazio».
Tratto da ilgiornale.it